curated by Francesca Grilli & Alessandra Saviotti
with Michael Fliri, Jan Hoeft, Amalia Pica, Teatro Valdoca, Nico Vascellari
Galleria Trasformatori, Centrale Fies
34th edition Drodesera / Centrale Fies - 2014
Production: Centrale Fies, Trento
Una pratica indeterminata prende in esame la presenta e allo stesso tempo l’assenza dell’oggetto in ambito performativo. Gli elementi che compongono la scena o utilizzati durante una performance, infatti, riducono la distanza tra coscienza e inconsapevolezza poiché rappresentano la rivelazione dell’opera stessa. In base a un processo pedagogico, l’uso e l’analisi dell’oggetto suggeriscono l’effettiva trasmissione della ricerca e del significato dell’opera. Attraverso il lavoro degli artisti si enfatizza l’oggetto, tuttavia non riducendolo a una sorta di reliquia iconica rappresentata da immagini e video documentativi. L’opera non è un feticcio di quello che è successo durante l’azione performativa, ma diviene lo svelamento dell’azione stessa. Gli equilibri tra gesto e stasi, tra spazio vuoto e pieno sono riconsiderati con l’intento di spostare il piano di intervento del pubblico stesso. La fruizione infatti, da passiva diventa attiva attraverso l’immaginazione che gli oggetti performativi evocano nel contesto specifico della centrale. Ecco perché pratica indeterminata: la mostra è un tentativo di attualizzare e presentare in modo differente l’eco di un’azione senza tuttavia snaturarne il significato originario, ma piuttosto arricchendone la forza.
La mostra, che inaugura la Collezione Centrale Fies, è il frutto di un intenso processo di scambio tra le curatrici, gli artisti e lo spazio, per il quale la parola e il racconto orale assumono un ruolo centrale. Seguendo la narrazione dei direttori artistici dell’istituzione e attraverso la ricerca all'interno dell’archivio storico del festival Drodesera, la mostra presenta le opere di Michael Fliri, Teatro Valdoca e Nico Vascellari che sono state prodotte in questi luoghi, evocandole, mantenendone tuttavia l’indicibile. Il potere dell’oggetto performativo è ciò che lega le opere di due artisti internazionali invitati appositamente per la mostra, Jan Hooft e Amalia Pica che presenteranno due azioni in cui l’oggetto diviene propulsore di una azione in potenza. Attraverso i lavori dei cinque artisti, la mostra suggerisce il tentativo di creare una sorta di meta-livello che possa essere un nuovo linguaggio possibile e allo stesso tempo traducibile immediatamente dallo spettatore.
L’impianto narrativo della mostra è costruito in base al racconto legato ad ogni singolo oggetto che assume il ruolo di agente.
La narrazione che scaturisce da ogni opera conferisce una sorta di libertà all’aritsta che, ponendosi talvolta a metà strada tra diverse pratiche, non decide il suo pubblico e non può controllare l’effetto della sua riflessione. Gli artisti e gli spettatori si trovano quindi di fronte a una sorta di frattura estetica per la quale i primi forniscono elementi che poi vengono ricomposti ed assemblati dai secondi che decideranno cosa vedere.
Secondo una riflessione di Jacques Rancière, lo sconfinamento tra discipline e la rilettura dei ruoli tra spettatore e artista, è ciò che caratterizza sia il teatro sia l’arte contemporanea oggi. Accade sempre più frequentemente infatti , a con-fusione di ruoli che non è finalizzata alla trasformazione degli spettatori in attori, ma la rappresentanza in presenza.
Il percorso espositivo è declinato in cinque differenti capitoli secondo l’attivazione e l’utilizzo in scena dei diversi dispositivi installati in vari luoghi della centrale.
Oggetto come composizione della scena
Michael Fliri (Tubre, 1978) presenta “Something uncovered can’t be covered again” (2013), una opera che nasce dalla rilettura dell’omonima performance presentata al festival MEIN HERZ Drodesera 2013. Con l’installazione l’artista suggerisce un’azione in potenza, dove il pubblico è messo di fronte ad una sorta di figura fantasma,, che si può vedere solamente attraverso il vetro degli spazi inaccessibili di Enel. L’azione di spoglia del movimento del corpo stesso dell’artista, il quale indossava realmente l’armatura nella performance originale. L’opera scultore rimane pregna dell’energia del corpo.
Oggetto come appartenenza e identità
Nico Vascellari (Vittorio Veneto, 1976) con l’opera “Nico & The Vascellaris” (2005) rappresenta una dichiarazione forte d’identità. E’ l’oggetto che legittima un’azione eccezionale, irripetibile e improvvisata quale l’unico concerto di Nico & The Vascellaris. La band in questione composta dai genitori e dalla sorella dell’artista, presentò un pezzo composto appositamente per il Premio Internazionale della Performance (Centrale Fies, 2005) dove l’artista cantava, all'interno di una scena costituita da un soffitto precario, sostenuto dai genitori, e il neon sorretto dalla sorella.
Durante il concerto improvvisamente la madre non riesce più a sostenere il soffitto, le viene in aiuta la sorella e Nico Vascellari stesso, generando così un’immagine della famiglia che diventa un tableau vivant visionario, un rito, che dura il tempo del concerto. Ciò che rimane della performance è il neon che diventa una specie di totem, che rappresenta il legame alla propria famiglia che diventa qualcosa di imprescindibile alla volontà di ciascuno di noi.
Evocazione e composizione dell’oggetto
Jan Hooft (Kiln, DE, 1981) attraverso la performance “We’ll Never Stop Living This Way” (2012) crea l’oggetto attraverso la performance, combinando il gesto lento, ordinato e preciso del cucire, con elementi tipici della cultura rave: l’artista costituisce la sua installazione cucendo di fronte ad una luce strobo e ignorando completamente il ritmo e i volumi della musica techno che accompagnano l’azione. Lo spettatore è di fronte ad un avvenimento apparentemente inaccessibile, ma artefice di un oggetto che risulterà atterrato nel parco, ma proveniente dal cielo.
Parole come oggetto
Teatro Valdoca presenta “A chi esita” (2004), un’opera audio estrapolata dalla trilogia “Paesaggio con Fratello Rotto”. Tra tutti, questo è il lavoro in cui il legame con Centrale Fies è più forte, infatti i tre spettacoli sono il frutto della lunga residenza di Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi in questi spazi. “A chi esita” rappresenta il potere della parola nella creazione dell’immagine, innescando il processo contrario a quello che è stato seguito per la creazione dello spettacolo, ovvero dalla parola all’immagine.
Attivazione dell’oggetto
Amalia Pica (Neuquén, RA, 1978), attraverso la performance “Eavesdropper” (2011), analizza il sottile rapporto tra ciò che è consentito ascoltare in uno spazio semi pubblico, mettendo in relazione pubblico e privato. Il bicchiere installato nel muro è l’innesco della performance, investendo la soglia tra ciò che è consentito e quello che è proibito: le conservazione dietro a quel muro quanto sono segrete? Possiamo chiedere al performer di diventare lo “spione”?
Nata e cresciuta durante la dittatura argentina, l’artista analizza soprattutto l’uso dei dispositivi legati alla comunicazione e alla sua impossibilità, ma non lavora con il suono, piuttosto con la sua negazione, o meglio il suono come atto visivo. In questo caso il museo che separa lo spazio espositivo, confina con quello dello spazio teatrale: l’oggetto si fa ponte tra finzione teatrale e azione performativa ponendo le due pratiche in dialogo.
ENG – Una pratica indeterminata examines the present and at the same time the absence of the object in performance. The elements that make up the scene or used during a performance, in fact, reduce the distance between consciousness and unconsciousness because they represent the revelation of the work itself. According to a pedagogical process, the use and analysis of the object suggest the actual transmission of the work's research and meaning. Through the artists' work, the object is emphasized, yet not reduced to a kind of iconic relic represented by documentary images and videos. The work is not a fetish of what happened during the performative action, but becomes the unveiling of the action itself. The balances between gesture and stasis, between empty and full space are reconsidered with the intention of shifting the plane of intervention of the audience itself. The fruition in fact, from passive becomes active through the imagination that the performative objects evoke in the specific context of the power plant. This is why indeterminate practice: the exhibition is an attempt to actualize and present in a different way the echo of an action without, however, distorting its original meaning, but rather enriching its strength.
The exhibition, which inaugurates the Centrale Fies Collection, is the result of an intense process of exchange between the curators, the artists and the space, for which the word and oral narrative assume a central role. Following the narrative of the institution's artistic directors and through research within the Drodesera festival's historical archive, the exhibition presents the works of Michael Fliri, Teatro Valdoca and Nico Vascellari that were produced in these places, evoking them, yet maintaining their unspeakability. The power of the performative object is what binds the works of two international artists invited especially for the exhibition, Jan Hooft and Amalia Pica, who will present two actions in which the object becomes the propeller of an action in power. Through the works of the five artists, the exhibition suggests an attempt to create a kind of meta-level that can be a new language possible and at the same time immediately translatable by the viewer.
The narrative structure of the exhibition is constructed based on the narrative related to each individual object that takes on the role of an agent.
The narrative that arises from each work gives a kind of freedom to the artist who, by sometimes placing himself halfway between different practices, does not decide his audience and cannot control the effect of his reflection. Artists and viewers are thus faced with a kind of aesthetic fracture for which the former provide elements that are then reassembled and assembled by the latter who will decide what to see.
According to a reflection by Jacques Rancière, the encroachment between disciplines and the reinterpretation of the roles between spectator and artist is what characterizes both theater and contemporary art today. It happens more and more frequently in fact , to con-fusion of roles that is not aimed at the transformation of spectators into actors, but representation into presence.
The exhibition path is declined in five different chapters according to the activation and use on stage of the different devices installed in various places of the power plant.
Object as scene composition
Michael Fliri (Tubre, 1978) presents "Something uncovered can't be covered again" (2013), a work that stems from a reinterpretation of the performance of the same name presented at the 2013 MEIN HERZ Drodesera festival. With the installation, the artist suggests an action in power, where the audience is confronted with a kind of phantom figure, which can only be seen through the glass of Enel's inaccessible spaces. The action strips away the movement of the artist's own body, who actually wore armor in the original performance. The sculptural work remains imbued with the energy of the body.
Object as belonging and identity
Nico Vascellari (Vittorio Veneto, 1976) with the work "Nico & The Vascellaris" (2005) represents a strong statement of identity. It is the object that legitimizes an exceptional, unrepeatable and improvised action such as the unique concert of Nico & The Vascellaris. The band in question, consisting of the artist's parents and sister, presented a piece composed especially for the International Performance Prize (Centrale Fies, 2005) where the artist sang, within a scene consisting of a precarious ceiling, supported by the parents, and neon supported by the sister.
During the concert suddenly the mother can no longer support the ceiling, her sister and Nico Vascellari himself come to her aid, thus generating an image of the family that becomes a visionary tableau vivant, a ritual that lasts the time of the concert. What remains of the performance is the neon that becomes a kind of totem, representing the bond to one's family that becomes something inseparable from the will of each of us.
Evocation and composition of the object
Jan Hooft (Kiln, DE, 1981) through the performance "We'll Never Stop Living This Way" (2012) creates the object through performance, combining the slow, orderly and precise gesture of sewing with elements typical of rave culture: the artist constitutes his installation by sewing in front of a strobe light and completely ignoring the rhythm and volumes of techno music that accompany the action. The viewer is confronted with a seemingly inaccessible event, but the creator of an object that will turn out to have landed in the park, but come from the sky.
Words as object
Teatro Valdoca presents "To Those Who Hesitate" (2004), an audio work extrapolated from the trilogy "Landscape with Broken Brother." Of all of them, this is the work in which the link with Centrale Fies is strongest; in fact, the three shows are the result of Mariangela Gualtieri and Cesare Ronconi's long residency in these spaces. "To Whom Hesitates" represents the power of the word in the creation of the image, triggering the opposite process to the one that was followed for the creation of the show, that is, from the word to the image.
Activation of the object
Amalia Pica (Neuquén, RA, 1978), through the performance "Eavesdropper" (2011), analyzes the subtle relationship between what is allowed to be heard in a semi-public space, relating public and private. The glass installed in the wall is the trigger of the performance, investing at the threshold between what is allowed and what is forbidden: how secret are the preservations behind that wall? Can we ask the performer to become the "snitch"?
Born and raised during the Argentine dictatorship, the artist primarily analyzes the use of devices related to communication and its impossibility, but she does not work with sound, rather with its negation, or rather sound as a visual act. In this case, the museum that separates the exhibition space, borders that of the theatrical space: the object becomes a bridge between theatrical fiction and performative action placing the two practices in dialogue.