Conversione

Cristiana Collu / Moroso Award (2011)

Conversione

Cristiana Collu / Moroso Award (2011)

“ Qualsiasi impressione e qualsiasi emozione che facciano parte del mio mondo sono una parte troppo pesante per riuscire a sostenerla completamente da solo. Questa parte di me che mi accomuna alla necessità universale mi colloca nella comunità carnale dei miei simili”. 

Pierre Klossowski

La verità da scoprire di cui l’artista dispone e’ dovuta a una specie di sopruso alchemico. Cio’ che l’arte e la tradizione esprimono, ha l’aspetto del capriccio del caso. Colui che e’ posseduto da un bisogno (magico/alchemico) di creare, rinuncia alla propria esigenza di essere tout court, uomo razionale. Agire significa cedere all’indugio del delirio, piuttosto che a una realtà delle forme e dei caratteri predefiniti. L’artista si trova ad essere come una sorta di co-sceneggiatore (di un copione programmato) in una partitura scenica che gioca su accostamenti che si muovono su più livelli. Un modo, forse, per tendere delle trappole alle possibilità quotidiane della rappresentazione, forzando di fatto il gioco e l’alchimia dell’invenzione con una mediazione critica sul nuovo domicilio (ipotetico) ricercato.

E nonostante la cornice rassicurante e gli incantesimi, da’ adito allo scacco, non riuscendo a togliere l’eccedenza di fraintendimento e di mistero per un canovaccio gia’ scritto. La verita’ della performance e’ l’esperienza di un indefinito ossessionato dalla necessita’ di frantumare l’udibile storico tormentato dalla frenesia e dai bisogni di liberta’. La considerazione del rapporto tra bellezza e verita’ e’ nell’azione artistica compiuta per rendere piu’ acuta la nostra vista e si riflette nell’essenza della nostra epoca data dalla molteplicita’ e dall’indeterminatezza. Dove si dirige ora? Dove ci dirigiamo noi? Non e’ questo un nuovo precipitare? Non stiamo forse vagando in un infinito nulla? Potremmo dire, parafrasando il domatore nietzscheano sulla perdita dei valori dello Zarathustra.

La sconcertante novita’ di direzione finale e’ l’affermarsi dell’oscurita’ necessaria al momento della vertigine silenziosa. Un modo per sollevare il sipario dal palcoscenico e dal moto di fantasia.

Nella solitudine sorda scompare l'universalità precipitata dalla storia per dare forma alle inquietudini contemporanee. Fragili, ambigue, confuse, perennemente in bilico tra il desiderio di esplorare uno spazio illimitato e poi di fatto confinate nel limbo freddo e scuro da cui non riusciamo a separarci. Solo nelle vibrazioni viene a noi come strumento di trasposizione musicale l’originario impulso di quella ossessione inquietante. Di quella lampeggiante, improvvisa illuminazione avvertiamo la metafora di un percorso mistico. Arcaico, di evocazione, ammonitore, di disperazione, solo con esso ci accorgiamo dello smarrimento. Un canto sorgente opaca della coscienza contemplata nella sua ambivalenza e irrealta’. Una eco penetrante che fuoriesce dalle pareti e richiama all’esprimibile fondamento del simbolo, da congiungere e collegare al disperso. Per la durata di un breve momento, tutto risulta essere ugualmente lontano, tutto ugualmente vicino. Un espediente poetico analogo al sussurro del sismografo. Poi nuovamente tutto tace, nella penombra seducente si percepisce la nostalgia trasfigurata. In questo impulso la realta’ e’ soppressa e appare sospesa in un crepuscolo molto simile al sogno. Tutto frana oltre il nostro controllo, ma le sue visioni amalgamano i punti che reggono la fabbrica del mondo, anche nel suo aspetto inafferrabile.

“Sin da quando ero molto piccola, da quando ho memoria, ho percepito che il mondo e’ magico, che esistono due realta’: una palpabile, visibile, quotidiana, solare, e l’altra che e’ la realta’ della notte, dei segreti, delle ombre, delle passioni incontrollabili, una realta’ lunare …Questi due piani li sento anche nel mio corpo. C’e’ una persona che tutti vedono, che si riflette negli specchi, ma dentro il corpo palpitano gli organi, fluttuano gli ormoni, crescono i sogni e I bambini, giace la memoria, operano misteriosi processi emotive e chimici invisibili all’occhio umano” (da Il Mondo di Isabel Allende).

(Cristiana Collu, Moroso Award,  2011)

ENG – Conversion

 “Any impression or emotion that is part of my world is too heavy to support completely alone. This part of me that is connected to universal necessity puts me in a carnal community with people similar to me.”

Pierre Klossowski

The truth that the artist attempts to discover is devoted to a kind of alchemical abuse. What art and tradition tries to express has an aspect of whim in any case. He who is possessed by a magical or alchemical need to create, renounces his own need to be tout court, a rational man. To act means to believe in the indulgence of delirium, rather than give in to a reality of predefined forms and characters. The artist finds himself as a sort of co-writer (of a programmed script) in a scene that plays with combinations of elements moving across many levels. This is one way, perhaps, to tend to the traps of the daily possibilities of representation, effectively forcing the game and the alchemy of the invention into a critical mediation on the new (hypothetical) basis being sought. And despite the reassuring framework and incantations, it gives rise to failure, being unable to remove the excess of misunderstanding and mystery of a canvas already painted. The truth of performance is the experience of an indefinite obsession with the need to crush the audible sounds of historic torment and the needs of liberty. The consideration of the relationship between beauty and truth in artistic activity is intended to make our vision more acute and is reflected in the essence of our time by multiplicity and indeterminacy. We could say, paraphrasing Nietzsche when asked about the loss of values of Zarathustra, “Where are things going now? Where are we going? Is this a new fall? Are we straying into an infinite void?”

The amazing novelty of the final direction is the assertion of obscurity necessary at the moment of vertiginous silence. It is one way to lift the curtain from the stage and the engine of fantasy.

In the deaf loneliness the universality precipitated by history disappears to give shape to contemporary concerns. These are fragile, ambiguous, and confused; we are perennially in balance between the desire to explore an unlimited space, and being confined to the cold and dark limbo from which we cannot separate ourselves. Only in the vibrations does the original impulse of that unsettling obsession come to us like it was transposed to a musical instrument. Sudden flashing lights warn of a metaphorical and mystical journey. As archaic, evocative, cautionary, and desperate are the only ways we realize the loss. It is an opaque fountain of song from consciousness considered in its ambivalence and unreality. It is a penetrating echo that flowers from the walls and reclaims the inexpressible foundation of the symbol to be joined and connected in its dispersion. For the duration of a brief moment, everything appears to be equally far away and at the same time close. It is a poetic device similar to the whisper of a seismograph. Then again, everything is silent, and in the alluring gloom you feel the nostalgia transfigured.

Under this impulse reality is suppressed and appears suspended in twilight very similar to a dream.

It’s like a landslide beyond our control, but the visions blend the points that resist the manufacturing of the world, even in its elusive aspects.

“Ever since I was little, ever since I can remember, I felt that the world is magical, that there are two realities: one that is palpable, visible, day to day, and illuminated by the sun, and another that is the reality of the night, of secrets, of shadows, of uncontrollable passions and lunar reality. I feel these two realities also in my body. There is one person that everyone sees, reflected in the mirror, but inside the body there are quivering organs and fluctuating hormones; it is where children and dreams grow, where memory lies, and where mysterious emotional and chemical processes operate that are invisible to the human eye” (from The World of Isabel Allende).

(Cristiana Collu, Moroso Award 2011)

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